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Andrea Pescio: appunti per avvicinarsi
ad un lavoro insolito e di gran fascino

 

Avvicinarsi ai monumentali pannelli di Andrea Pescio, suppone dimenticare per un attimo i concetti acquisiti di categorie artistiche; pittura, disegno, studi preparatori sono riferimenti non direttamente applicabili qui. La sua è un’opera maggiormente grafica in cui il segno è fonte primaria, sorretta dal colore; anche l’acquerello, pittura senza ritocchi possibili in cui il colore si dissolve nell’acqua diventa, nelle mani di Pescio, tonalità squillanti e ricche di contrasti ma in cui la linea è contorno. Ovunque il telaio in senso tradizionale è abolito ma i supporti variano dalla carta, alla tela - più spesso di juta - al cuoio. I tempi di realizzazione non sono quelli della pittura da cavalletto ad olio, o ad acrilico ma piuttosto quelli dell’affresco: in due/tre mesi riesce a ultimare un’opera e di conseguenza non può realizzarne più di cinque/sei all’anno. Va tuttavia sottolineato che ogni opera “finita” scaturisce da ripensamenti pregressi scaglionati nel tempo. Raul Capra, curatore della mostra, ne ha voluto dare testimonianza nell’organizzazione del percorso. Alla prima sezione Penna bic su tela che si confronta con quaranta opere “finite” di grandi dimensioni - parola forse errata, in quanto in Pescio nulla è definitivo, le opere sembrano aver vocazione rigenerante - corrispondono due altre complementari, una di acquerelli, che si possono considerare quali studi e la seconda - tecniche miste - che l’artista inizia a realizzare dopo il 2019 al rientro dal viaggio a Pechino, in cui aveva potuto studiare gli acquerelli della città proibita. In quest’ultima, all’acquerello si aggiunge la china, da sola o in alcuni casi abbinata alla grafite, per giocare sulle armonie di grigi che conferiscono al dipinto una maggior qualità vibratile. Sono opere che vanno considerate prime idee, cioè lavoro propedeutico a realizzazioni già compiute, in corso di elaborazione o future, studi in senso lato, comunque mai bozzetti in quanto non nascono in riferimento ad una precisa opera futura. Gli acquerelli e china esposti sono più immediatamente leggibili per un pubblico avvezzo al disegno - vorrei dire nei paesi anglosassoni più che in Italia, dove manca una cultura del disegno: rispondiamo alle trasparenze dell’acquerello, alla dolcezza della china mentre quando interviene la grafite, strumento ruvido di gran forza che durante la realizzazione ha la capacità di impedire possibili colate dell’acquerello, colore in dissolvenza, informano le grandi dimensioni su carta, ad esempio Ecce Domini [2020] 143 x 45cm. In tutte le sezioni della mostra siamo sollecitati da un immaginario che sia negli esiti finali, opere alla bic o nelle tecniche miste, evoca in noi un universo fiabesco, onirico ma non solo. I manufatti di grandi dimensioni – verticali o orizzontali - vanno letti da sinistra a destra o dall’alto al basso con un “punto di vista viaggiante”, come le opere su carta da srotolare, per permetterne la visione sequenziale, che caratterizzano la pittura cinese sin dal periodo Sung, o i makemono giapponesi che ne sono la continuazione fedele. Va sottolineato, tuttavia, che l’approccio di Pescio alle dimensioni e all’invenzione dei mezzi tecnici per rendere possibile il suo operato sono anteriori in lui al viaggio in Cina, che sembrerebbe aver concretizzato un desiderio, nato in lui sin da bambino, di ricerca di un mondo mitico. La creazione artistica per Pescio è monumentale. Per monumentalità delle opere alla bic - o di quelle realizzate con il rullo e i colori usati per tessuti - è sottinteso che almeno una delle misure sia superiore a un metro (altezza o base), o meglio ancora che oltrepassi i due metri per arrivare poi al sinfonico lavoro intitolato Baby Gang primo dei suoi lavori esposti, un progetto in ventitré pannelli realizzati su juta con grafite e pittura a rullo nel 2009, che l’artista ha ripreso in undici frammenti e un supporto di cuoio nel 2021-22 con la penna bic, grafite e china. Supporti, dimensioni, mezzi di realizzazione sono interdipendenti, tutti creati e coordinati dall’artista senza risparmio di tempo o energie. Dai supporti (tela, carta, pannelli, cuoio…) agli strumenti adoperati per il segno attraverso il quale l’artista articola forma e colori, dalla comunissima penna bic da lui nobilitata in veicolo di colore [quattro tonalità da scegliere] al rullo con dispensatore di tinte, Pescio se li è inventati tutti, mutuando oggetti ben noti da adibire ad altre funzioni. Che non abbia avuto una formazione tradizionalmente accademica di pittore gli ha dato quella assoluta libertà di adoperare, adattare, con spirito di sperimentazione e acribia dei mezzi che aveva utilizzato nella sua carriera nella moda quale creatore di pitture per stoffe. Molti artisti dall’inizio del Novecento in avanti hanno cercato di fare scomparire il segno della mano ovvero le tracce della materia. Pescio, avendo eliminato il pennello come strumento di lavoro, ci offre immagini pure, dall’effetto impressione, che però non hanno il carattere nullificante delle stampe di riproduzioni: vivono di una coerenza loro che non richiede nemmeno un ricorso alla prospettiva tradizionale, che è qui quella dei sogni senza essere surrealista, o quella dei concetti (anche politici) trasmessi da pochi elementi emblematici. I titoli, che a prima lettura possono sembrare spiazzanti, sono infatti un invito ad una decodificazione dei contenuti subliminali. Le opere presentate non si danno allo sguardo dell’avventore frettoloso, vanno decifrate con lentezza, meditate, lasciando che intervenga il tempo anche in rispetto al lungo procedimento che le ha viste nascere, bisogna tuttavia predisporsi a uscire dagli schemi tradizionali in materia di “pittura”.

ANNIE-PAULE QUINSAC


storica dell’arte, 22 agosto 2024

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